Nuovi utilizzi golosi delle produzioni andine ricche di nutrienti e prive di glutine
Nel bellissimo scenario del Parco dell’Adamello, sulle Alpi Retiche meridionali nella zona nord-orientale della provincia di Brescia, tra il 2014 e il 2015 sono state condotte prove sperimentali sulla coltivazione della quinoa (Chenopodium quinoa Willd.).
Circa un mese dopo la laurea, in un pomeriggio che era iniziato come uno tra i numerosi di riunione con i ragazzi di Dévelo (Laboratorio di cooperazione internazionale presso la Facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano), mi hanno proposto, improvvisamente, di entrare a far parte di un progetto per la coltivazione di ortaggi esotici.
È il primo giorno di novembre, mi sono svegliato tardi e sto lasciando che la giornata scorra secondo il proprio ritmo senza forzature, con orari e programmi modellati su nient’altro che le mie personali esigenze. Fame, sete, sonno, un nuovo post seMIgrante per raccontare un’esperienza insolita, di quelle da incartare e conservare in mezzo ai piccoli tesori da portarsi dietro nella quotidiana migrazione verso il futuro. Sedendomi alla scrivania, con la nebbia autunnale che si dissolve dietro le finestre, ed una tazza di tè cinese mischiato con semi di cardamomo, faccio due conti e mi sorprendo a constatare che il viaggio che vorrei raccontare è cominciato esattamente un anno fa.
La quinoa non è un cereale. I botanici ci avvertono che non fa parte della famiglia delle Poaceae bensì delle Chenopodiaceae, è dunque un parente più prossimo di spinaci e barbabietole, piuttosto che di frumento e orzo. Gli agronomi la includono nella categoria indistinta degli pseudo-cereali, dove vanno a finire tutte quelle specie vegetali che somigliano per forma e vocazione ai cereali ma non lo sono, insieme a grano saraceno, amaranto e chia. La soluzione a questa crisi di identità arriva dai popoli della Cordigliera delle Ande che – avendola ricevuta in dono dagli Dei – la coltivano da millenni e la definiscono per l’appunto un grano andino.